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Pelletteria italiana, frenata d’inizio anno: tra geopolitica, dazi e domanda debole

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Luglio 2025

Pelletteria italiana, frenata d’inizio anno: tra geopolitica, dazi e domanda debole

Il primo trimestre 2025 si apre in salita per la pelletteria italiana: export giù dell’8,5%, produzione in calo a doppia cifra e domanda interna ancora stagnante. Il comparto, nonostante un saldo commerciale positivo, fatica a ritrovare lo slancio. A pesare sono i conflitti internazionali, l’incertezza economica e i dazi USA.

Claudia Sequi, Presidente Assopellettieri

Il settore delle pelli corre su un tapis roulant fermo: si muove, ma non avanza.
L’avvio del 2025 ha confermato quanto temuto: la pelletteria italiana fatica a riprendersi. I dati parlano chiaro. Nei primi tre mesi dell’anno, le esportazioni si sono ridotte dell’8,5% rispetto allo stesso periodo del 2024, con un crollo verticale del 17,5% verso i mercati del Far East. La domanda interna? In caduta del 4,4%. Il fatturato? Giù del 7,7%. E la produzione industriale? Addirittura -16,4%.

In altre parole: il settore non è fermo, ma si sta consumando a forza di rimanere in movimento senza fare passi avanti.

Questo ciò che emerge dalla nota congiunturale elaborata dal Centro Studi di Confindustria Accessori Moda e che prende in considerazione l’andamento della pelletteria italiana nel primo trimestre del 2025.

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UN EXPORT IN PERDITA DI SPINTA

Da sempre traino dell’intera filiera, l’export di pelletteria italiana ha venduto all’estero beni per 2,44 miliardi di euro nel primo trimestre, in calo di 228 milioni rispetto all’anno precedente. Il prezzo medio è sceso del 5,3% a 145,58 €/kg, in una tendenza deflattiva che ha preso piede già nel 2023 dopo i picchi del biennio 2021-22.

Il calo ha colpito soprattutto i mercati extra-UE (-12,4% in valore), che valgono ben il 64,3% del totale dell’export in valore, mentre l’UE ha tenuto (-0,6%). Tra i mercati extra-europei più in difficoltà spiccano Cina (-31,5%), Corea del Sud (-12,8%), Hong Kong (-15,4%) e Canada (-12,4%).

La Svizzera, ex hub delle griffe del lusso, ha segnato un tracollo del 47,7% e scivola all’11° posto tra i mercati di destinazione.

In controtendenza, invece, gli Emirati Arabi Uniti (+19,5%), la Turchia (+27,6%) e il Qatar (+18,8%), a conferma di una crescita costante negli ultimi cinque anni.

 

IL NODO USA: DOVE VA IL MERCATO STORICO?

Gli Stati Uniti, che nel 2024 hanno assorbito pelletteria italiana per oltre 1,2 miliardi di euro, sembrano resistere: +0,7% in valore nel primo trimestre. Ma le ombre si allungano. I nuovi dazi imposti dalla presidenza Trump alimentano incertezza. Il 69% degli esportatori italiani prevede impatti significativi, e il 47% sta già esplorando mercati alternativi.

Europa, Asia e Medio Oriente sono le destinazioni più gettonate, mentre il Mercosur resta – almeno per ora – fuori dai radar.

 

DOMANDA INTERNA: DEBOLE E INCERTA

Il mercato italiano non offre grandi consolazioni. Le vendite al dettaglio di pelletteria e calzature sono scese del 4,4% nel primo trimestre rispetto al 2024, e restano del 5,8% sotto i livelli pre-Covid del 2019.

L’unica nota positiva viene dal turismo: i visitatori stranieri hanno speso il 6,4% in più, secondo la Banca d’Italia. Ma non basta a compensare una domanda domestica stagnante.

 

PRODUZIONE E OCCUPAZIONE IN DIFFICOLTÀ

L’indice ISTAT sulla produzione industriale per la filiera della pelle ha registrato un -16,4% nei primi quattro mesi dell’anno. Un dato allarmante, solo in parte mitigato da un rallentamento della flessione ad aprile (-4,6%).

Anche la cassa integrazione torna protagonista: +66,1% rispetto al primo trimestre 2024, con quasi 13 milioni di ore autorizzate. La Toscana guida la classifica, con oltre 5 milioni di ore (+200%), seguita da Campania e Marche.

Il numero di imprese attive cala dell’1% (-46 unità), mentre gli addetti scendono a 48.184 (-530 rispetto a dicembre). Il 52% delle aziende ha visto calare il fatturato, e solo il 7% ha registrato aumenti superiori al 10%. Le prospettive per il secondo trimestre? Ancora negative: si prevede un ulteriore -6% del fatturato.

 

LE BORSE RESTANO REGINE, MA…

Le borse si confermano il prodotto più venduto (1,68 miliardi di euro, pari al 69,1% dell’export), ma perdono terreno (-10,6%).

In flessione anche valigie (-12,8%) e piccola pelletteria (-4,5%). In controtendenza le cinture: +5,9% in valore e +25,3% in quantità, pur restando lontane dai livelli pre-2019.

A livello di materiali, i prodotti in pelle reggono meglio (-4,6%) rispetto a quelli in succedanei (-16,8%), ma il calo è generalizzato.

 

LE MINACCE PERCEPITE DAL SETTORE

Un sondaggio tra gli Associati ad Assopellettieri conferma le preoccupazioni diffuse. Le principali minacce individuate sono:

·      la debolezza della domanda (77%);

·      il conflitto Russia-Ucraina (62%);

·      i nuovi dazi USA (42%);

·      le tensioni in Medio Oriente (27%);

·      la frenata delle griffe internazionali del lusso (25%).

A ciò si aggiungono l’aumento dei costi delle materie prime (23%), la recessione tedesca (23%) e la carenza di manodopera qualificata (20%).

 

CONCLUSIONI: IL SETTORE È IN TRINCEA

La pelletteria italiana sta attraversando una fase di resistenza più che di rilancio. I fondamentali restano solidi – la qualità del prodotto, la reputazione internazionale, la capacità di presidiare mercati – ma il contesto è tra i più difficili degli ultimi dieci anni.

Come nota il report, il saldo commerciale resta positivo (+1,52 miliardi di euro nel trimestre), ma in calo del 15%. È un segnale importante, ma non sufficiente.

Serve visione. Serve strategia. Serve – soprattutto – una domanda che torni a respirare.

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