Arsutoria Magazine

Footloop: una nuova via sostenibile per il futuro delle calzature

Tecnologia, sostenibilità e design si sono incontrati alla Milano Design Week 2025 durante il talk “Walk Wise”, moderato da Matteo Pasca, direttore di Arsutoria Studio e Arsutoria School. Il panel, tenutosi all’Isola Basic Village, ha esplorato il modo in cui l’industria calzaturiera sta ripensando i materiali, i processi e la costruzione di una scarpa per ridurre il proprio impatto ambientale, in particolare quando si tratta di soluzioni per il fine vita delle scarpe.

Pasca ha aperto l’intervento evidenziando le principali tendenze del mercato calzaturiero globale e la complessità di progettare modelli con in mente la circolarità, soprattutto in considerazione della natura multimateriale della maggior parte delle scarpe. A presentare il progetto FootLoop – scarpe monomateriali, costruzioni alternative e materiali biodegradabili – ci hanno pensato tre relatori. Ognuno in rappresentanza di una delle 3 aziende leader nel settore che hanno dato vita alla ricerca e sviluppo del progetto.

René Medel – Senior Digital Creation Engineer di framas Group, produttore leader di componenti in plastica ad alte prestazioni per l’industria delle calzature sportive. Jesus Marini Parissi – Fondatore di Moon Rabbit Adaptive Lab, che fonde design computazionale, ingegneria avanzata e ottimizzazione dei sistemi. Yael Joyce Vantu – Chief Product Officer di Balena, pioniere nello sviluppo di materiali circolari e soluzioni biodegradabili per la moda e le calzature.

 

COS’È FOOTLOOP?

Footloop è un sistema di scarpe completamente modulare e monomateriale, costruito con il materiale BioCir® compostabile di Balena e progettato per funzionare sia con la stampa 3D che con lo stampaggio a iniezione. Il concept è stato guidato da tre principi fondamentali:

Modularità: i componenti possono essere sostituiti, riparati o disassemblati senza adesivi.

Materiali: viene utilizzato un unico materiale circolare.

Movimento: la scarpa è progettata per garantire comfort, flessibilità e prestazioni equivalenti ad altre calzature.

Il risultato è una scarpa che ridefinisce il modo di fare, usare e disfare le calzature, spingendo i confini del design e della sostenibilità.

PROGETTARE TENENDO CONTO DEI SISTEMI: L’APPROCCIO DI MOON RABBIT LAB

Esperti di progettazione computazionale e produzione digitale, Moon Rabbit Lab ha affrontato Footloop non come un prodotto chiuso, ma come un sistema vivente, in grado di adattarsi, muoversi e tornare alla natura senza lasciare rifiuti.

“Abbiamo visto in Footloop un’opportunità per riprogettare le calzature dalle fondamenta”, ha detto Jesus Marini Parissi. “Piuttosto che stratificare materiali o incollare parti fra loro incompatibili, ci siamo concentrati sull’utilizzo di un unico polimero compostabile, il BioCir® di Balena, per creare una scarpa completamente modulare e multicomponente”.

Il processo di progettazione di Moon Rabbit Lab si è basato sulla biomimetica e sul pensiero sistemico. Ispirandosi a strutture naturali, come foglie, conchiglie e rami, hanno utilizzato strumenti computazionali per creare geometrie leggere, flessibili e resistenti.

Le prestazioni di ogni parte sono state ottimizzate attraverso simulazioni virtuali prima di realizzare il prototipo fisico. “Abbiamo costruito dei gemelli digitali per ogni componente”, ha spiegato Marini Parissi. “Così abbiamo potuto eseguire simulazioni, modificare le variabili prestazionali e testare le tolleranze molto prima di stampare un singolo pezzo. E il materiale non era considerato solo un input passivo, ma influenzava attivamente la forma”.

 

INNOVAZIONE PRODUTTIVA CON FRAMAS

Conosciuta per la sua leadership nella produzione di utensili e componenti per calzature, framas ha svolto un ruolo cruciale nella messa a terra dell’ambizione progettuale. La sfida principale è stata quella di integrare una tomaia e una suola stampate in 3D utilizzando BioCir® con un battistrada stampato a iniezione, il tutto senza adesivi o legami chimici.

“Abbiamo dovuto ripensare radicalmente il modo in cui viene costruita una scarpa”, ha detto René Medel. “Invece di incollare o fondere i componenti, li abbiamo progettati in modo da tenerli insieme meccanicamente. Il che ha richiesto un ritorno ai metodi tradizionali di costruzione delle calzature, alle tecniche di costruzione preindustriali in cui l’artigianato guidava la funzione”.

Il sistema di incastro meccanico non solo favorisce lo smontaggio e la riparazione, ma migliora anche la circolarità eliminando gli scarti di materiali compositi. Ogni connessione è intenzionale e reversibile. Dal punto di vista della produzione, framas ha anche validato BioCir® su due piattaforme principali:

·      Nello stampaggio a iniezione, il materiale viene gestito in modo simile al poliuretano termoplastico (TPU), rendendolo facilmente integrabile nelle linee di produzione esistenti.

·      Nella stampa 3D FDM, invece, il successo è dipeso dalla calibrazione dettagliata dei parametri, evidenziando sia le sfide che le opportunità di lavorare con materiali circolari innovativi.

 

IL MATERIALE DI BALENA AL CENTRO

Il cuore di Footloop è il BioCir® di Balena, un materiale flessibile, compostabile e a base biologica progettato per la circolarità senza compromettere le prestazioni. A differenza dei polimeri tradizionali, BioCir® è progettato per soddisfare le esigenze della produzione industriale, consentendo al contempo molteplici percorsi di fine vita, dal riciclo al compostaggio.

Ciò che ha contraddistinto questo progetto è stata la capacità di applicare lo stesso materiale sia nei processi di produzione additiva che in quelli convenzionali. Sia in forma di filamento che di pellet, BioCir® ha offerto la durata, l’elasticità e la lavorabilità necessarie per prototipare, perfezionare e infine produrre una scarpa completamente modulare.

 

UN NUOVO CICLO PER LE CALZATURE

Footloop è più di una scarpa, è una dichiarazione d’intenti. Sfida l’industria calzaturiera a pensare oltre i prodotti e a concentrarsi sui sistemi. Dalla modellazione computazionale alla progettazione modulare, dai materiali a base biologica alle strategie rigenerative di fine vita, Footloop dimostra cosa è possibile fare quando la collaborazione sostituisce il compromesso.

Balena, framas e Moon Rabbit Adaptive Lab non hanno creato solo una scarpa. Hanno dato vita a un nuovo modo di fare scarpe.

Un momento del talk “Walk Wise”, durante la Milan Design Week

Schiuma riciclata D3O®

Le schiume riciclate D3O® contengono due tipi di materiali D3O® ZeroTM. Questo materiale riciclato è l’ultima innovazione degli esperti di protezione dagli impatti di D3O. D3O® Zero™ è stato progettato per proteggere ciò che conta, innovando al contempo il processo di produzione per ridurre gli sprechi.

Disponibile in quattro spessori e due densità, D3O® ZeroTM è adatto a una vasta gamma di applicazioni che richiedono protezione dagli impatti. Nel caso delle calzature, il materiale protegge grazie all’assorbimento degli urti con il terreno.

Per creare D3O® Zero™, il materiale D3O® in eccesso proveniente dagli stabilimenti D3O viene macinato e miscelato con nuove schiume, e la miscela viene modellata in grandi balle cilindriche di D3O® Zero™. Successivamente, D3O viene tagliato in fogli di vari spessori, da 2 mm a 10 mm. Il materiale può quindi essere fustellato o termoformato per adattarsi a varie applicazioni protettive.


Digital Product Passport: quando l’obbligo diventa opportunità

Dal 2027 entrerà in scena una vera e propria rivoluzione digitale nel settore della moda, e non solo: il Digital Product Passport (DPP). Non si tratta semplicemente di un nuovo adempimento burocratico imposto dall’Unione Europea, ma piuttosto di un’occasione imperdibile per le imprese che desiderano ripensare radicalmente la propria catena produttiva e la relazione con il consumatore. Questa sfida normativa, infatti, rappresenta un’opportunità unica per trasformare profondamente filiere e strategie aziendali, portando trasparenza, sostenibilità e innovazione tecnologica nel cuore del business.

Questi i concetti emersi dall’appuntamento e dal confronto organizzato da Fashion magazine in collaborazione con Netcomm e GS1 Italy. Una digital excellence roundtable dal titolo: “Digital Product Passport. Tra obblighi normative e nuovi orizzonti”. Riportiamo alcuni temi di riflessioni emersi dall’intensa giornata di lavoro per sottolineare le varie sfaccettature della questione, stimolare la riflessione e, soprattutto, sottolineare come sia tempo e sia urgente strutturarsi per i cambiamenti ormai dietro l’angolo.

 

Immaginate per un attimo di aprire l’armadio e di poter conoscere con precisione la storia di ogni singolo capo, di ogni borsa e di ogni calzatura. Dal materiale utilizzato fino all’artigiano che lo ha prodotto. Non è fantascienza: è il futuro che ci attende grazie al Digital Product Passport. Ma attenzione, non si tratta solo di un trend tecnologico, bensì di una rivoluzione obbligatoria che cambierà profondamente il panorama produttivo e commerciale.

 

DPP: TRA OBBLIGO E OPPORTUNITÀ

Il DPP nasce all’interno del Regolamento ESPR, elemento centrale del Green Deal europeo, e obbliga le aziende a fornire informazioni dettagliate e tracciabili per ogni prodotto. Paolo Cibien di GS1 Italy definisce questa novità una vera e propria “rivoluzione culturale e tecnologica”. D’altra parte, Marco Ruffa di Data Life aggiunge una visione ancora più ampia: «Il DPP non deve essere visto solo come compliance normativa, ma come una leva strategica capace di ridefinire radicalmente il rapporto tra chi produce, chi vende e chi compra».

 

STANDARDIZZAZIONE E INTEROPERABILITÀ: UN LINGUAGGIO COMUNE

Perché questo passaggio avvenga realmente e con efficacia, è fondamentale adottare uno standard condiviso e interoperabile lungo l’intera supply chain. Bruno Aceto, CEO di GS1 Italy, insiste sull’importanza cruciale di creare un linguaggio comune che permetta lo scambio massivo e sicuro di informazioni, evitando inefficienze e sprechi. “Pensare di affrontare il DPP senza standard sarebbe semplicemente impossibile”, precisa Aceto. Un sistema condiviso evita la frammentazione, riduce errori e sprechi, e consente un flusso massivo e sicuro di informazioni.

 

BLOCKCHAIN, FIDUCIA E SICUREZZA DEI DATI

A tal proposito, un ruolo chiave in questa transizione è giocato dalla tecnologia blockchain, che garantisce longevità, privacy e autenticità dei dati. Davide Di Stefano di Aura Blockchain Consortium ne evidenzia la centralità: «La blockchain permette ai consumatori di fidarsi davvero dei prodotti che acquistano». Alcuni grandi marchi, come Tod’s e Loro Piana, stanno già utilizzando questa tecnologia, consentendo ai clienti di verificare in tempo reale l’autenticità e la provenienza dei prodotti attraverso semplici QR code o tag NFC direttamente integrati nei prodotti e fornendo una customer experience arricchita.

 

LA RACCOLTA DEI DATI: PARTIRE DALLA PROTOTIPIA

Tuttavia, per ottenere informazioni affidabili e complete, Marina Raicevic di Surge sottolinea come la raccolta dati non possa limitarsi al prodotto finito, ma deve partire già dalla fase di prototipia. Un atteggiamento che assicura maggiore precisione e affidabilità dei dati lungo tutto il ciclo produttivo. «È necessario standardizzare il linguaggio intra-filiera per rendere la collaborazione tra gli attori realmente efficace», sostiene Raicevic. Torna il tema della standardizzazione, quindi!

 

SOSTENIBILITÀ DIGITALE: UN NUOVO PARADIGMA COMPETITIVO

Un ulteriore aspetto fondamentale del DPP è quello della sostenibilità digitale, che ormai rappresenta un paradigma competitivo imprescindibile. Carolina Lonetti di Simest evidenzia come i finanziamenti dedicati possano essere decisivi per aiutare le PMI italiane nella transizione digitale e sostenibile, consentendo l’adozione di tecnologie avanzate per tracciare e certificare i prodotti. Un esempio emblematico è il caso del marchio svedese Filippa K, che ha adottato il DPP per garantire una completa tracciabilità della lana utilizzata nelle sue collezioni, dal pascolo fino al negozio.

 

DAL PRODOTTO AL CLIENTE: UN NUOVO CUSTOMER JOURNEY

Ma il DPP non rivoluziona solo le catene produttive: ridefinisce anche il rapporto diretto tra prodotto e consumatore finale. Eleonora Migliori di Dondup racconta come, grazie al DPP, il consumatore si senta più coinvolto: «I clienti che possono avere accesso alle informazioni contenute nel DPP trascorrono più tempo sul nostro sito e manifestano una maggiore propensione all’acquisto». Lo strumento, infatti, se integrato efficacemente con strategie di CRM, diventa una leva potentissima per fidelizzare il consumatore e renderlo parte attiva del brand.

TRASFORMARE I COSTI IN INVESTIMENTI

Ovviamente, tale trasformazione digitale comporta anche investimenti importanti e strategici. Roberto Liscia di Netcomm pone l’accento sulla necessità per le imprese italiane di superare le attuali carenze sistemiche, creando piattaforme capaci di aggregare tutta la filiera produttiva. «Solo così sarà possibile trasformare davvero i costi del DPP in investimenti strategici sostenibili», afferma Liscia.

 

PROTEZIONE DELLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE E TRASPARENZA

Altro nodo cruciale è rappresentato dalla protezione della proprietà intellettuale e dalla tutela del know-how aziendale. Silvia Elia, sempre di Netcomm, ricorda che il DPP consente di comunicare efficacemente il valore distintivo del Made in Italy mantenendo al contempo riservate le informazioni più sensibili, grazie alla possibilità di differenziare i livelli di accesso ai dati.

 

EDUCARE IL CONSUMATORE, COSTRUIRE FIDUCIA

Infine, una delle più grandi sfide resta quella di educare il consumatore. Marco Ruffa chiarisce che «solo un cliente realmente consapevole può valorizzare al massimo il DPP». Occorre andare oltre la semplice scansione di codici, costruendo una narrazione coinvolgente che permetta al prodotto stesso di raccontare la propria storia, generando un vero e proprio dialogo con chi lo acquista.

 


TAKE AWAY

«Il DPP non è un’invenzione per far felici i direttori marketing, né un gadget da boutique evoluta. È una norma. Ma anche una grande occasione. Su questo doppio tavolo – obbligo e opportunità – si gioca la partita più importante per l’industria del fashion e del lusso», prosegue Marco Ruffa in chiusura dell’incontro. Riepiloga così i punti chiave riguardanti il DPP:

Mindshift. Nessuna rivoluzione digitale avviene senza rivoluzione mentale. Il consumatore del futuro – e in parte già quello del presente – chiede provenienza, verifica, coerenza. Non è più disposto ad accettare storytelling fittizi. Vuole dati. Vuole verità. Chi aspetta che il mercato lo obblighi, ha già perso il treno.

Compliance. Non è più tempo di scuse. Dal 2027 l’obbligo del DPP scatterà per diverse categorie di prodotto. Ma chi si muove ora ha un vantaggio. La compliance non è più solo una griglia da rispettare. È il nuovo linguaggio comune tra brand, istituzioni, fornitori e sistema finanziario. Il DPP rende visibile il valore ESG e permette alle banche di premiare chi investe in tracciabilità. È il ponte tra regolazione e reputazione.

Collaborazione. Il DPP non si costruisce da soli: la collaborazione tra brand – anche competitor – è oggi l’unico modo per arrivare a standard condivisi e soluzioni interoperabili. Il concetto di “vantaggio competitivo” va riscritto: a vincere sarà chi saprà attivare reti, non solo proteggere brevetti.

Start small, scale big. Tutti vogliono partire. Ma hanno paura. Paura dei costi, della complessità, dell’effetto domino. Allora si parcheggiano i progetti nei pilot, come fossero aree di quarantena. Ma il pilot non è un parcheggio. È un trampolino. Serve il coraggio di iniziare, anche in piccolo.

Crederci. Nessun progetto può funzionare, se chi lo gestisce per primo concentra i propri pensieri sugli ostacoli da affrontare e spera in un rinvio. O peggio ancora, che alla fine si decida di fare retromarcia.

Storytelling. Il DPP dà voce ai prodotti e, se progettato bene, questa voce può essere potente. Non è più solo il marketing a parlare al cliente: è il prodotto stesso che racconta la propria origine, la propria filiera, i propri valori.

Standardizzazione. È la parola meno sexy, ma la più urgente. Senza standard comuni, ogni azienda della filiera produttiva dovrà replicare gli stessi processi decine di volte per clienti (brand) diversi. Il risultato? Costi, inefficienze, errori. Ci sono vari enti e consorzi, non da ultimo la Comunità Europea: tutti lavorano per definire identificatori comuni, strutture condivise. È qui che si gioca la vera interoperabilità.

Export. Le Pmi italiane possono usare il passaporto digitale per raccontare il Made in Italy nei mercati esteri. È un volano di fiducia e di valore.

Digital twin. Il passaporto digitale può diventare una vera estensione digitale del prodotto fisico, fino a svilupparsi in un gemello dinamico che evolve, si aggiorna, comunica. Un’entità che cresce con il prodotto e con la clientela che vi interagisce, estendendo il ciclo standard informativo – che oggi si ferma alla vendita – e arrivando a coprire fenomeni di mercato come il second hand e il rental, fino alla dismissione e al riciclo dei componenti stessi che lo compongono.

 

In definitiva, il Digital Product Passport non rappresenta semplicemente un nuovo obbligo normativo, ma piuttosto un’opportunità straordinaria per ridefinire completamente la cultura d’impresa, la produzione e il rapporto con il mercato. La prova, ora, è raccogliere la sfida per diventare veri pionieri della moda del futuro.

Grandi aspettative per A+A 2025

 

Si avvicina l’appuntamento con A+A 2025, il più grande e importante appuntamento fieristico al mondo per quanto riguarda la sicurezza, la protezione e la salute sul lavoro che si terrà a Düsseldorf, in Germania, dal 4 al 7 novembre prossimi.

Come sempre le aspettative sono molto elevate. A partire dalle dimensioni: quest’anno la fiera biennale tedesca si annuncia la più grande di sempre con un numero di espositori che supererà le 2.200 unità, provenienti da 60 Paesi diversi, ed una superficie di oltre 83mila metri quadri. “Le iscrizioni sono ancora aperte, ma siamo molto selettivi perché per la nostra fiera vogliamo una crescita sana che vada di pari passo con un’elevata qualità dei visitatori” ha spiegato Lars Wismer, Global Head & Director, ad un recente incontro con la stampa a Milano organizzato dalla società Honegger che rappresenta in esclusiva per l’Italia l’ente Fiera Düsseldorf.

Dal punto di vista logistico la fiera tedesca conferma il felice layout sperimentato due anni fa che ha visto la segmentazione dell’offerta articolata per raggruppamenti merceologici nei tredici padiglioni utilizzati. La novità riguarda l’apertura del padiglione 7 che sarà dedicato alle start up del settore che avranno l’occasione di presentarsi al mercato. Al 15 si svolgeranno invece come sempre le imperdibili sfilate di moda che accendono i riflettori sul design dei DPI e in generale sulle novità in fatto di stile dell’abbigliamento da lavoro e di sicurezza.

Anche il settore della calzatura sarà come sempre molto ben rappresentato grazie alla partecipazione dei maggiori brand internazionali che approfittano di questo appuntamento per lanciare sul mercato le ultime novità di prodotto. In questo comparto spicca, peraltro, la presenza italiana che può contare su 125 espositori su un’area di settemila metri quadri. Al fianco dei produttori di calzature, saranno presenti i maggiori fornitori di materiali, suole e componenti per la fabbricazione di scarpe di sicurezza.

 

Tra gli eventi collaterali di A+A, va ricordato Il Congresso internazionale che come sempre si svolge parallelamente alla fiera. Organizzato da Basi, l’Associazione federale tedesca per la sicurezza e la salute sul lavoro, il congresso promette un format rinfrescato per affrontare i temi della digitalizzazione e della sostenibilità (gli stessi argomenti chiave della fiera). Tra questi, le strategie di prevenzione come la “Vision Zero”, iniziativa globale mirata alla riduzione degli incidenti sul lavoro. In questa occasione vengono anche presentati e discussi i risultati della scienza del lavoro derivanti dalla ricerca orientata all’applicazione.

Gli organizzatori segnalano che dal 1° di giugno sarà disponibile un’APP della fiera che oltre a fornire informazioni sulla fiera punta a diventare un importante strumento di lavoro favorendo il business match fra gli operatori.

Infine, il portfolio internazionale della fiera della sicurezza tedesca si arricchisce di un nuovo appuntamento fieristico all’estero. Dopo quelli di Shanghai, Istanbul, Singapore e Bangkok quest’anno debutta a Osaka, in Giappone, dal 16 al 19 luglio, la prima edizione della “JIOSH+W – Japan International Occupational Safety and Health + Well-being”.

 

Lars Wismer e Tommaso Honegger alla conferenza stampa del 13 maggio a Milano
La distribuzione dei padiglioni alla A+A 2025

Report suole e tacchi P/E 2026

Abbiamo tratto numerose ispirazioni dall’ultima edizione di Lineapelle e realizzato un report esaustivo con tutti i nuovi materiali entusiasmanti visti in fiera, oltre ad alcuni suggerimenti di tendenza da esplorare:

Summer Vibes

La tomaia di sandali e ciabattine, così come quella di altri modelli leggeri e tipicamente estivi, è probabile punti sulla semplicità. Saranno suole e tacchi, allora, a dover fare la differenza. In alcuni casi con piglio più deciso, in altri scegliendo semplicemente forme più inusuali.

Strong and sculpted

La scolpitura del fondo, la tipica texture carrarmato reinventata grazie a disegnature inusuali o a toni di colore fuori dall’ordinario, sapranno dire la loro anche nella prossima estate.

Training Styles

La sneaker continua a prosperare in tutte le col- lezioni. Se ancora qualche fondo punta su volumi più importanti della media, sono sempre di più le proposte che tornano rasoterra, o comunque agli spessori più tradizionali. Vale sia per i modelli più sportivi che per quelli più eleganti.

L’innovazione sostenibile guida la crescita di Industrie Chimiche Forestali (ICF)

Tra gli operatori di riferimento a livello internazionale nella progettazione e produzione di adesivi e tessuti ad alto contenuto tecnologico per calzaturiere e pelletteria, automotive e packaging, Industrie Chimiche Forestali è fortemente impegnata nel rispetto dei valori di sostenibilità e dei principi ESG da oltre un secolo. Il Gruppo ha, infatti, ottenuto le più rilevanti certificazioni del settore chimico e aziendali, e aderisce dal 1997 al programma Responsible Care, che promuove lo Sviluppo Sostenibile dell’Industria Chimica a livello internazionale secondo valori e comportamenti orientati alla salute, alla sicurezza e all’ambiente.

“In questa direzione, lavoriamo da anni sulla sostituzione delle sostanze pericolose presenti nella formulazione dei nostri prodotti e sullo sviluppo di adesivi ecocompatibili e a basso contenuto di VOC (composti organici volatili, ndr), sfidando metodi di lavoro e tecnologie consolidate nel tempo”.

Questo impegno si concretizza nel continuo ampliamento della gamma di prodotti certificati secondo gli standard GRS (Global Recycle Standard), FSC (Forest Stewardship Council), BCI (Better Cotton Initiative), GOTS (Global Organic Textile Standard) e OK biobased.

Inoltre, al fine di valutare gli impatti ambientali generati dai propri prodotti “nel 2019 ICF ha effettuato uno studio LCA (Life Cycle Assessment) sulla produzione di quattro categorie di tessuti, estrusi e impregnati, nel settore della pelletteria e calzaturiero” – afferma Marcello Taglietti.

In collaborazione con il CNR e sulla base della propria analisi LCA, nel 2022 ICF ha introdotto all’interno della Product Category Rule (PCR) “Fabrics” delle norme specifiche per la realizzazione di studi ambientali su tessuti estrusi ed impregnati, oggi attive e utilizzate come riferimento nel settore moda. Grazie a questo importante contributo “nel 2023 abbiamo ottenuto la certificazione EPD (Environmental Product Declaration) per i nostri tessuti estrusi ed impregnati, stabilendo un primato mondiale all’interno del settore calzaturiero. Ciò ci ha consentito di ottenere non solo un vantaggio competitivo, ma anche un supporto a livello di ecodesign per il prodotto finale”.

Più di recente, ICF ha raggiunto l’ importante traguardo della certificazione ISCC PLUS (International Sustainability & Carbon Certification), uno standard riconosciuto a livello globale per la sostenibilità di materiali bio-based, riciclati e di origine circolare. L’azienda ha inoltre adottato il modello Mass Balance, un approccio innovativo che consente l’integrazione progressiva di materiali sostenibili nei processi produttivi di adesivi, garantendo trasparenza e tracciabilità lungo l’intera filiera, riducendo l’impatto ambientale senza compromettere la qualità e le prestazioni dei prodotti.

Accanto a queste certificazioni di rilievo, vale la pena ricordare che nel 2023 ICF insieme ad ACBC, BCorp e Circular Science Company italiana, ha redatto il Manifesto di Sostenibilità, un documento che rappresenta l’impegno etico e la missione dell’azienda nel perseguire pratiche commerciali responsabili e nel contribuire alla riduzione delle emissioni di gas serra. Questo convive accanto al Bilancio di Sostenibilità, giunto alla sua sesta edizione e redatto su base volontaria secondo quanto previsto dai GRI Standards.

“In questo periodo stiamo lavorando intensamente per sviluppare ulteriormente la gamma di adesivi base acqua e solvent free, che negli ultimi anni hanno avuto un sempre maggiore apprezzamento, soprattutto presso i brand del lusso, rispetto ai più tradizionali adesivi base solvente”, aggiunge Marcello Taglietti.


La musette Mono[PA6] di Freitag viaggia in solitaria

Versatile e leggera, connubio perfetto di design minimalista e leggerezza, la musette vanta il peso piuma di soli 125 grammi, ed è quindi perfetta per le giornate più lunghe. Il cordino dalla lunghezza regolabile e il fondo ripiegabile garantiscono ancora più flessibilità, consentendo alla musette di espandersi in base al suo contenuto. Ma non solo: la musette è realizzata in nylon idrorepellente a tre strati, un tessuto innovativo che non necessita di rivestimenti composti da altri materiali. Grazie alla concezione monomateriale, alla fine del suo ciclo di vita può quindi essere riciclata con facilità nella sua interezza.


Moda responsabile: presente e futuro del settore

Moda responsabile. Moda di qualità. Attenzione all’ambiente, rispetto per i lavoratori e trasparenza nella produzione, interna e lungo tutta la filiera. Questi i temi al centro del ‘Luxury Summit 2025’, svoltosi il 7 maggio scorso a Milano e intitolato “Lusso responsabile, garanzia d’eccellenza”. Un tema, quello della sostenibilità, che non riguarda però solo il lusso, ma anzi deve riguardare sempre di più la moda nel suo complesso, dato il suo negativo contributo all’inquinamento del pianeta. E le strade da percorrere per una crescita responsabile sono diverse. A cominciare dalla scelta del materiale e dalle sue caratteristiche. Come sottolinea Chiara Mastrotto, Presidente del Gruppo Mastrotto, “la pelle è il più antico materiale da fonte organica e circolare che, se non processato, dovrebbe essere smaltito. Ma la pelle è anche un materiale che, se ben progettato, è durevole, perché la pelle vive, e nel tempo acquista fascino. Per noi di Gruppo Mastrotto a questa naturale ‘virtuosità’ del prodotto aggiungiamo una progettazione rigorosa, misurabile ed estesa all’intera filiera”.  

“All’interno del gruppo Mastrotto – prosegue Chiara Mastrotto – abbiamo identificato tre direttrici: una tecnica, una quantitativa e una collaborativa. Dal punto di vista tecnico, sviluppiamo materiali che tengono conto dell’impatto sul pianeta e tutti i nostri processi operativi sono volti a ridurre l’utilizzo d’acqua, energia e chimica, con un graduale passaggio da una chimica tradizionale, da fonte fossile, a una chimica anche organica. Dal punto di vista quantitativo, invece, utilizziamo regolarmente l’LCA (Life Cycle Assessment) come strumento per misurare gli impatti. Infine, dal punto di vista collaborativo, promuoviamo collaborazioni come quella stretta con Tod’s lo scorso anno riguardante un progetto di ecodesign, per il quale abbiamo studiato un pellame che potesse rispondere non solo alle esigenze di natura tecnica, fisica e chimica del cliente – quindi aspetti prestazionali -, ma che avesse anche determinate caratteristiche di tracciabilità e carbon emission”.

“Nell’ambito distrettuale, infine, va sottolineato come buona parte dei nostri sottoprodotti conciari, anziché essere smaltiti, diventano materia prima per l’industria a valle, ad esempio della cosmetica, farmaceutica o dei fertilizzanti ecc.”


Sostenibilità e responsabilità estesa e condivisa

Il tema del fine vita del prodotto è strettamente legato a quello della responsabilità estesa al produttore e in un’ottica di filiera. A tal proposito Chiara Mastrotto sottolinea come la responsabilità estesa, per poter funzionare, debba essere, appunto, una responsabilità condivisa, mentre spesso accade che gli investimenti sono a monte della filiera, mentre il valore economico e reputazionale slitti poi a valle. “Come Gruppo Mastrotto, ad esempio, abbiamo lavorato per certificare l’impronta climatica della nostra organizzazione, utilizziamo regolarmente il Life Cycle Assessment ecc., ma tutto questo richiede una complessa e accurata gestione dei dati, competenze e molti investimenti, poi però è soprattutto chi lavora direttamente con il cliente che ne gode i vantaggi. Affinché ci sia una reale transizione sostenibile è necessario immaginare un riequilibrio di filiera che può avvenire solo considerando il fornitore come partner strategico, attraverso una co-progettazione del prodotto oppure condividendo in maniera trasparente i dati ambientali come modalità operativa collaborativa o, ancora, adottando criteri di selezione del fornitore, criteri ESG oltre che prestazionali” – afferma Chiara Mastrotto.

Primavera green ma inverno industriale?

In un momento, come quello attuale, caratterizzato dal cambiamento di approccio alla sostenibilità legato alle elezioni del Presidente Trump negli Stati Uniti, ma anche al cambio di marcia della Commissione Europea che ha accelerato sul tema della competitività, senza dimenticare le varie crisi economiche legate all’incertezza globale – non si rischia che il tema della sostenibilità non sia più tra le priorità in agenda delle aziende?

Secondo Chiara Mastrotto le filiere devono ‘tenere la rotta’ e proseguire lungo un cammino ormai tracciato, perché di investimenti ne sono già stati fatti molti e perché la sostenibilità è prima di tutto un ‘commitment’ di realtà come Gruppo Mastrotto.  “Consideriamo le sfide ambientali e sociali come strutturali e quindi continueremo, insieme ai nostri main partner, ad utilizzare i criteri ESG come elementi dei nostri piani industriali strategici, ma anche come driver sulle scelte operative. Manteniamo dritta la direzione, perché solo in questo modo potremo creare valore. Altrimenti si rischia di assistere a una primavera green, seguita da un inverno industriale”.


Ecodesign e tracciabilità

Il regolamento Ecodesign dell’Unione Europea (ESPR – Ecodesign for Sustainable Products Regulation), che mira a promuovere prodotti più sostenibili e ridurre l’impatto ambientale durante il loro ciclo di vita, si lega a doppio filo al tema della tracciabilità.

Su questo argomento Gessica Ciaccio, Ricercatrice del Dipartimento Tecnologie energetiche e fonti rinnovabili di ENEA, ha ricordato il progetto europeo TRIC, durato 36 mesi e che ha coinvolto oltre 30 partner tra associazioni di categoria dell’industria manifatturiera, enti di ricerca, università ecc., avente come obiettivo quello di dare all’azienda un set di strumenti a supporto della raccolta dati di tracciabilità e sostenibilità, in linea con le nuove normative europee. 

“Il progetto ha fornito tre risultati interessanti. Il primo è un prototipo di piattaforma per la tracciabilità che abilita le aziende a collezionare i dati lungo tutta la filiera -dalla materia prima al prodotto finito, passando anche per le fasi di post consumo, riciclo, emissione di materia prima -. Il tutto supportato da un sistema di blockchain che consente una raccolta, gestione e condivisione dei dati in maniera sicura e affidabile. Il secondo risultato importante è quello di un modello dati olistico, aperto e standardizzato, su cui si poggia l’approccio alla tracciabilità della piattaforma, un modello costruito proprio partendo dalle metodologie degli standard già esistenti, ad esempio la metodologia dell’UNECE per la tracciabilità. Infine, abbiamo in corso un importante contributo alla standardizzazione con un chain workshop agreement, un’iniziativa di pre-standardizzazione portata avanti da Enea (Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo Economico Sostenibile) con UNI (Ente Nazionale di Unificazione) e CEN (European Committee for Standardization). L’obiettivo è quello di definire delle linee guida per la raccolta dati di tracciabilità e sostenibilità per il Digital Product Passport, in collaborazione anche con altri progetti europei che sono attivi su temi ricorrenti nelle nuove normative”.

L’importante, ha ricordato Gessica Ciaccio, è arrivare ad una standardizzazione perché “ora le aziende si ritrovano in un marasma caratterizzato da una mole considerevole di dati da caricare su differenti piattaforme imposte o meno dai brand. È auspicabile riuscire ad arrivare a una situazione in cui l’azienda fa il lavoro soltanto una volta: raccoglie dati, ha già delle linee guida, delle procedure da seguire per organizzare questi dati in una certa maniera per poi fornirli, in modo automatico, alle piattaforme dei brand che li richiedono”.


Gestione rifiuti, riciclo, economia circolare

Lucia Muto, Responsabile dell’Area strumenti economici del Centro Nazionale dei Rifiuti e dell’Economia Circolare di ISPRA, ha sottolineato come la porzione di raccolta differenziata tessile è sempre molto ridotta, non arriva all’1%, un po’ perché c’è una normativa recente in Italia che impone questo obbligo (1 gennaio 2022), un po’ perché manca ancora un decreto attuativo. Inoltre, il settore tessile è un settore particolare, perché non tutti i prodotti tessili immessi sul mercato diventano beni post consumo: molti vengono donati, c’è un mercato in crescita dell’usato ecc. Inoltre, la raccolta è molto eterogenea nei vari Comuni. L’obiettivo resta comunque il riciclo, perché tutto ciò che si riuscirà a riciclare diventerà materia prima e seconda in un’ottica di economia circolare.

Giuliano Maddalena, CEO del Gruppo Safe, che collabora con il consorzio Ricrea e Retex che fanno capo a Camera Moda e a Confindustria Moda Federazione Tessile e Abbigliamento Ex-Smi, ha sottolineato la centralità del controllo della filiera. Prima di tutto perché “per i brand che oggi si affacciano alla gestione del fine vita, quindi della raccolta e riciclo del post consumo, è fondamentale evitare che si associno al brand stesso episodi sgradevoli dal punto di vista ambientale tali da comprometterne l’immagine. Il secondo motivo per cui è fondamentale il controllo di filiera è che noi dobbiamo sapere dove vanno a finire circa 100.000 tonnellate di prodotti post consumo potenzialmente riutilizzabili che sicuramente lasceranno il territorio italiano e che non debbono andare ad alimentare luoghi come il deserto di Atacama, in Cile, sommerso da rifiuti tessili invenduti.”

“Per ovviare a questi problemi – afferma Giuliano Maddalena – stiamo adottando l’Ecoguard Textile, un disciplinare di regole creato sulla falsa riga di quello già in essere dal 2010 per  i rifiuti elettrici. In concreto, oltre a qualificare il fornitore dal punto di vista autorizzativo, stiamo attenti alla parte reputazionale e fisica, cioè verifichiamo sul campo dove il fornitore indirizza il materiale post consumo oppure gli chiediamo di mandarlo solo dove noi abbiamo verificato che questo materiale possa essere rivenduto”.


Innovazione sostenibile

Due realtà nuove, che segnano la strada di quello che potrà essere la moda del domani in un’ottica di rispetto e sostenibilità, sono ZeroW e NextCouture.

Gabriele Rorandelli, Co-founder e CEO di ZeroW – startup che prenderà parte all’Innovation Village Retail di Expo Riva Schuh e Gardabags a giugno 2025 – racconta come è nata l’idea di una piattaforma digitale marketplace, prima nel suo genere, che mette in comunicazione la domanda e l’offerta di scarti e rimanenze di materiale per la moda di lusso: “Tramite la nostra piattaforma siamo anche in grado di tracciare sia la destinazione del materiale per i brand o le manifatture, che recuperare i dati per fornire report di sostenibilità, che in questo modo mettono insieme la sostenibilità economica con quella ambientale”. Naturalmente in questo progetto di upcycling la filiera è fondamentale. Non a caso ZeroW nasce a Scandicci, perché la filiera corta garantisce collaborazione e controllo.

Si basa invece sul concetto di esclusività e zero sprechi il progetto di Chiara Torino, Founder di NextCouture, piattaforma di couture on-demand. “L’idea di fondo è che l’esclusività debba ruotare intorno al concetto di irripetibilità del prodotto più che di inaccessibilità del prezzo, e un prodotto irripetibile può essere solo un capo confezionato su richiesta di chi dovrà indossarlo. Da qui l’idea di una piattaforma e-commerce che consenta ai brand di promuovere e commercializzare capi e accessori personalizzabili. E parliamo di una personalizzazione estrema, quindi poter scegliere ogni aspetto di quel capo: il tessuto, la fodera, i colori, gli item di stampa, i bottoni ecc. La tecnologia è lo strumento che consente questo gioco virtuale in tempo reale, dove l’innovazione è anche nella scalabilità del prodotto unico che diventa industrializzabile, uscendo dalle maglie del processo analogico sartoriale. Da corollario a questo aspetto di vetrina marketplace della piattaforma vi è poi l’accesso attraverso la sottoscrizione di membership, che dà diritto a contenuti o opzioni di personalizzazione dedicati”.

Dove ritroviamo la sostenibilità? “NextCouture risolve il problema alla radice, perché la produzione on demand annulla in nuce la possibilità di generare rifiuti e magazzini di invenduto da smaltire. Inoltre, neppure si attiva il processo di lavorazione e il consumo di materie prime per capi che resteranno senza un destinatario”. Viene prodotto solo ciò che è già venduto.

A Bruxelles si parla di pelle ed economia circolare

COTANCE sta organizzando l’evento “Leather: a Natural Choice for the Circular Economy” che rientra negli appuntamenti ufficiali supportati dalla Commissione Europea nell’ambito della EU Green Week 2025, che quest’anno pone al centro il tema dell’economia circolare come leva strategica per la competitività e la sostenibilità dell’Unione Europea.

L’incontro si terrà l’11 giugno alle ore 14:30 e sarà accessibile esclusivamente su invito in presenza a Bruxelles, oppure online tramite Zoom.

L’evento vedrà la partecipazione di alcuni tra i principali esperti del settore conciario, della sostenibilità e dell’innovazione, che affronteranno i temi chiave della circolarità della pelle, della tracciabilità, della biodegradabilità e delle competenze per la transizione verde. I relatori già annunciati sono Gustavo Defeo (CTC Ars Tinctoria), Deborah Taylor (Sustainable Leather Foundation) e Karl Flowers (Authenticae).

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“Serve un piano industriale” è l’appello risuonato durante gli Stati Generali della pelletteria italiana 2025

Il nostro primato nel mondo non può essere dato per scontato”, ha dichiarato Claudia Sequi, Presidente di Assopellettieri. “Servono interventi strutturali e una reale politica industriale condivisa, per assicurarci tale primato anche nel futuro”. È questo il messaggio, l’appello forte e deciso che ha chiuso la mattinata di lavoro della quinta edizione de “Gli Stati Generali della Pelletteria Italiana”, organizzata da Assopellettieri – l’Associazione che rappresenta le imprese italiane di pelletteria, aderente a Confindustria e a Confindustria Accessori Moda  – in partnership con The European House – Ambrosetti e in co-promozione con il Comune di Firenze.

Claudia Sequi, Presidente di Assopellettieri

Il solenne Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze ha ospitato i tanti operatori italiani del settore pelletteria che insieme, nel 2024, hanno realizzato oltre 12 miliardi di euro di fatturato e un saldo commerciale tra i più attivi d’Europa (seppur in decrescita rispetto all’anno precedente, -9%). Con questi numeri la pelletteria italiana si conferma un pilastro strategico del Made in Italy. L’Italia, infatti, è oggi il secondo esportatore mondiale dopo la Cina, grazie a un modello produttivo diffuso, competitivo e fortemente identitario. Ma per mantenere saldo questo ruolo centrale nel mercato, l’eccellenza non basta. Serve lavorare, e serve farlo in fretta, a un piano industriale serio e lungimirante che sostenga la pelletteria italiana in un mondo che produce di continuo cambiamenti epocali destabilizzanti, come ha spiegato Dario Fabbri, Direttore del mensile Domino. La sua accurata lettura dello scenario-geopolitico ha chiarito come l’attuale conflitto tariffario in atto sia dovuto al tentativo di conquistare l’egemonia sui commerci marittimi che veicolano il 96% delle merci in transito nel mondo. Una guerra di dazi di cui non è facile immaginare le ricadute a livello economico sulla manifattura italiana.


In un videomessaggio Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy, ha ribadito l’importanza del comparto pelletteria per l’economia nazionale, sottolineando la necessità di fare sistema tra tutti gli attori della filiera. Ha anche introdotto alcuni dei temi importanti trattati nella mattinata: formazione, adeguamento delle filiere, il protezionismo la concorrenza sleale di alcuni Paesi, l’adozione di tecnologie abilitanti. Ha ricordato come “il Ministero abbia definito misure per circa 250 milioni di euro a favore di micro, piccole e medie imprese del settore moda. Di questi, 100 milioni sono dedicati al sostegno dello sviluppo di aggregazioni fra le imprese, tanto importanti per potersi confrontare con le sfide del mercato globale.” Urso ha ricordato anche l’impegno del Governo nella valorizzazione di professionalità specializzate sempre più difficili da reperire, attraverso nuovi percorsi formativi e promuovendo l’attrattività dei posti di lavoro della manifattura: “Solo il 20% della forza lavoro del settore è composta da giovani sotto i 30 anni. Questo trend va contrastato. Ci stiamo muovendo anche per favorire il passaggio di know-how fra le generazioni incentivando l’assunzione di giovani sotto i 35 anni.”

Numero di aziende di pelletteria in Europa
Top 10 esportatori di pelletteria a livello globale per valore nel 2023


Cuore pulsante dell’edizione 2025 è stata la presentazione ufficiale del nuovo Studio Strategico sul settore della pelletteria italiana frutto del lavoro condiviso tra TEHA, Assopellettieri e uno Steering Commitee di sei persone, rappresentanti delle tre anime del settore pellettiero italiano: brand, grandi produttori e PMI a marchio proprio.

La prima parte dello studio, restituisce una panoramica dettagliata del settore da cui sicuramente emerge la conferma della leadership italiana nella pelletteria di alta gamma: con 4.532 imprese attive, circa 49.000 addetti e un fatturato di 12 miliardi di euro nel 2024, l’Italia si attesta come il primo produttore europeo, rappresentando da sola il 47% del giro d’affari continentale. Un primato ottenuto nel tempo grazie a un tessuto imprenditoriale coeso e performante, strutturato in distretti industriali che favoriscono qualità, flessibilità e un elevato grado di integrazione tra le fasi della filiera; primato che però va difeso e sostenuto.

A presentare la ricerca è stato Flavio Sciuccati, Senior Partner di The European House – Ambrosetti. Il suo intervento ha inquadrato con lucidità le fragilità e le potenzialità del comparto. Guardando al futuro ha lanciato un monito chiaro: “abbiamo un sistema unico al mondo, ma non siamo abbastanza bravi a raccontarlo. Se non rafforziamo leadership e attrattività, rischiamo di perderlo”. Le sue parole hanno accompagnato i numeri del report, stimolando la riflessione corale sull’urgenza di fare sistema e sottolineando la necessità di rafforzare la competitività e l’attrattività del sistema nel suo complesso, promuovendo un modello di cooperazione lungo tutta la filiera, in grado di valorizzare la complementarità tra grandi gruppi, PMI e fornitori.

Raccomandazioni

Ma è nella seconda parte del report che si delinea con chiarezza la proposta strategica per il futuro da parte dell’Associazione. Un vademecum articolato in sei raccomandazioni operative per il settore e allo stesso tempo un appello alle Istituzioni per affrontare le sfide attuali con strumenti efficaci e per rafforzare e consolidare la leadership internazionale del Made in Italy.

La prima raccomandazione invita a promuovere la sostenibilità economica lungo tutta la filiera, attraverso misure fiscali dedicate, incentivi alla crescita e alla stabilità, e una più equa distribuzione del valore. Segue l’indicazione a costruire un patto di legalità e trasparenza, rafforzando gli strumenti di tracciabilità, ma anche la compliance normativa e contrattuale, per generare fiducia e ridurre le distorsioni. Puntare alla sostenibilità ambientale e sociale come tratto distintivo del Made in Italy, per rafforzare l’immagine del comparto sui mercati internazionali, è la terza raccomandazione.

Emerge poi la necessità di attrarre e formare nuovi talenti, costruendo uno storytelling condiviso che valorizzi i mestieri tecnici e artigianali, promuovendo collaborazioni con istituti formativi e incentivando l’integrazione della forza lavoro straniera.

Altrettanto centrale è il tema dell’innovazione artigianale: non si tratta di sostituire il sapere manuale, ma di affiancarlo con tecnologie avanzate, digitalizzazione e interazione uomo-macchina per migliorare qualità, tracciabilità e attrattività del lavoro.

Infine, l’associazione focalizza l’attenzione sul potenziamento dell’internazionalizzazione, chiedendo supporto per le aziende nell’intercettare nuovi mercati, semplificando l’accesso agli strumenti di finanziamento per l’export e consolidando il ruolo strategico delle fiere come piattaforme di visibilità.

Tra i momenti significativi della mattinata anche la tavola rotonda sul futuro del settore che ha affrontato grandi temi quali sostenibilità, innovazione tecnologica, internazionalizzazione e formazione, attrazione. A parlare, Yoann Regent di Bottega Veneta, Massimo Giardiello (MADE Competence Center), Enrica Baccini di Fondazione Fiera Milano e Antonella Vitiello (MITA Academy).

In chiusura, la Presidente di Assopelletieri, Claudia Sequi, ha ribadito: “La politica industriale non può essere più rimandata e va costruita tutti insieme, noi siamo pronti e disponibili”, e ha concluso con un appello: “Serve un patto chiaro tra associazioni di categoria e Governo per garantire un futuro solido a un settore che è già simbolo del Made in Italy nel mondo”.