Arsutoria Magazine

What the Future: quando la manifattura si reinventa

Carrie Howe – CEO What the Future

Nel cuore di un capannone di Amsterdam, tra macchinari in costruzione e prototipi che cambiano forma da un giorno all’altro, è nato un modo completamente nuovo di fare calzature. È qui che What the Future sta riscrivendo le regole della produzione industriale, dimostrando che sostenibilità, efficienza e flessibilità non sono slogan, ma processi concreti. La loro tecnologia 3DTI – un’inedita combinazione di 3D printing, termoformatura e iniezione – promette di trasformare un settore spesso ingessato da costi, tempi e supply chain rigide. Un futuro modellato non in mesi, ma in ore.

What the Future sviluppa tecnologie batch-to-mass manufacturing che consentono una produzione locale, veloce e a basso impatto. Grazie a stampi realizzati in 3D a basso costo, riutilizzabili e riciclabili, i tempi di attrezzaggio si riducono drasticamente, mentre la possibilità di utilizzare materiali bio-based e processi a rifiuto quasi zero potrebbe rappresentare un salto in avanti per tutta l’industria. Non solo: adottando l’iniezione diretta su tomaia, l’azienda riduce i costi fino al 20% e supera i limiti che hanno frenato la produzione sostenibile su larga scala. 

A guidare questa rivoluzione è Carrie Howe – Managing Director & CEO, oltre che ex-olimpionica di vela – con una visione chiara: ribaltare un sistema produttivo che produce troppo, troppo lontano e con troppi compromessi per il pianeta. L’abbiamo incontrata durante l’evento organizzato da APICCAPS, “Welcome to the industry of the future!”.

 

Da dove nasce l’urgenza di reinventare la manifattura?

«L’industria è in crisi perché sa produrre milioni di pezzi uguali, ma non è capace di passare facilmente da un prototipo a una produzione personalizzata, da piccole serie a grandi volumi. E soprattutto genera troppo spreco. Per noi è stato evidente che serviva un nuovo approccio.» 

 

Qual è la vera innovazione della vostra tecnologia?

«Abbiamo unito tecnologie già esistenti — 3D printing, termoformatura, automazione e iniezione — per permettere alle fabbriche di produrre in modo più pulito, veloce e flessibile. La nostra 3DTI utilizza stampi 3D economici e riciclabili, riduce i tempi da mesi a ore e permette di lavorare con materiali più sostenibili, come quelli bio-based.» 

 

Andiamo più nel dettaglio?

«Stampa 3D: la nostra tecnologia utilizza stampi stampati in 3D a basso costo al posto dei tradizionali stampi in alluminio/acciaio fresati a controllo numerico. Di conseguenza, l’avvio della produzione viene ridotto da mesi a ore. Ciò consente uno sviluppo rapido ed economico di nuovi prodotti e riduce drasticamente il time-to-market.

Grazie all’uso di stampi stampati in 3D, le forme possono essere modificate rapidamente sulle linee di produzione 3DTI. La combinazione con l’iniezione su tomaia consente la produzione nello stesso giorno di più prodotti a un costo inferiore rispetto ai processi di produzione di massa esistenti.

Termoformatura: la nostra tecnologia brevettata trasforma le macchine di termoformatura standard in linee di produzione flessibili ad alta velocità, grazie all’utilizzo degli stampi stampati in 3D e raffreddati ad aria, e a basso costo. Dopo la produzione, gli stampi vengono triturati, pellettizzati e utilizzati per creare filamenti per nuovi stampi.

Iniezione: 3DTI offre molte possibilità e una varietà di applicazioni. È in grado di lavorare qualsiasi liquido, pasta o gel. Dalle scarpe complete alle singole parti (solette, intersuole, suole…), le calzature realizzate con 3DTI sono testate in base agli standard di settore e progettate per avere un impatto ambientale minimo.»           


 

In cosa vi differenziate rispetto alle tecnologie tradizionali?

«Offriamo una soluzione end-to-end, pensata per le fabbriche già esistenti, che non hanno spazio o margini per prendersi rischi. Con noi possono innovare senza stravolgere tutto. E la riduzione dei costi supera i 5 euro a paio: parliamo di un impatto reale.» 

 

State lavorando anche sulla sostenibilità dei materiali. Cosa significa in pratica?

«Per noi non è un extra: è il punto di partenza. Utilizziamo stampi in plastica riciclata che a fine vita diventano nuovo filamento; lavoriamo con gomma naturale in forma liquida, che riduce sprechi e impatti; eliminiamo la colla grazie all’iniezione diretta sulla tomaia. Meno chimica, meno passaggi, meno emissioni.» 

 

Mi pare di capire che nel vostro quartier generale ad Amsterdam non si finisce mai di sperimentare…

«È così. Lo dimostra il fatto che il cuore di What The Future è un team di designer, ingegneri e appassionati di materiali intenti a fare cose che per molti sono impossibili, come trasformare una macchina per il confezionamento degli alimenti in una fabbrica di scarpe. Non una macchina qualsiasi, ma una progettata per sfornare contenitori di plastica per il prosciutto venduto nei supermercati. Oggi quella macchina fa qualcosa di molto più interessante. Produce sneaker. Stampate in una notte, non in mesi.»

 


Facciamo un esempio concreto dei benefici degli impianti che realizzate?

«L’industria calzaturiera tradizionale è rigida e costosa. Stampi in acciaio, utensili in alluminio, produzioni su larga scala e tempi di consegna che si misurano in mesi. Vuoi realizzare un prototipo di una nuova suola? Sinistra e destra, in tutte le misure? Ti costerà almeno 200.000 euro.

Con la nostra tecnologia lo stesso stampo costa 15 euro di materiali e viene stampato in 3D durante la notte utilizzando ABS riciclato. Invece di scolpire stampi nel metallo, il nostro sistema termoforma fogli di plastica. Come dicevo, una tecnica presa in prestito dal mondo dell’imballaggio, utilizzando calore e pressione. Quindi, li abbina a inserti stampati in 3D per una flessibilità totale. Un giorno sono scarpe per bambini, il giorno dopo street-style per adulti, senza apportare alcuna modifica agli strumenti, nessuno spreco, nessun ritardo, ma solo un processo fluido e facilmente adattabile.

Il nostro sistema modulare, inoltre, consente di cambiare gli stampi rapidamente permettendo di testare soluzioni diverse o passare alla produzione, cosa che l’industria tradizionale può a malapena immaginare.»

 

Parliamo di materiali?

«Le nostre suole prendono vita a partire dal lattice liquido. Gomma pura e naturale estratta direttamente dagli alberi coltivati in foreste ricche di biodiversità, non in monocolture. Il liquido viene versato in uno stampo a cui si aggiunge un minimo di agente vulcanizzante durante l’iniezione per reticolare le catene polimeriche e trasformare la gomma da materiale appiccicoso a elastomero resistente. Quindi si miscela con additivi naturali per soddisfare le esigenze del settore in termini di abrasione, resistenza allo scivolamento…»

 

Qual è la vostra visione per il futuro della calzatura?

«Un sistema di produzione locale, modulare, facilmente riparabile, in cui i brand possono produrre vicino al mercato di sbocco senza dipendere da supply chain enormi e distanti. Il nostro primo impianto in Mississippi produrrà fino a cinque milioni di paia l’anno: è la prova che questo modello è scalabile.»

Vapesol: quando lo scarto diventa suola

Trasformare lo scarto in qualcosa da indossare di nuovo. È quello che sta accadendo nei laboratori di Vapesol, specialista portoghese nella produzione di suole che ha deciso di prendere sul serio la parola ‘circolarità’.

Nell’ambito del Programma FAIST e in collaborazione con il Centro Tecnológico do Calçado (CTCP), l’azienda sta sviluppando tre linee di innovazione che hanno un denominatore comune: recuperare scarti industriali considerati problematici e trasformarli in suole performanti.

EVA DA EVA. Il primo progetto affronta un paradosso tecnico: l’etilene vinil acetato è un polimero reticolato tradizionalmente difficilissimo da riciclare, eppure la sua produzione genera montagne di scarti. Vapesol sta mettendo a punto tecniche specifiche di macinazione e rielaborazione per reintegrare questi residui in nuove suole, mantenendo inalterate le proprietà di comfort e prestazione.

CUOIO NELLE SUOLE. L’innovazione più dirompente riguarda lo sviluppo di suole in TPU ed EVA che incorporano scarti di conceria – sì, proprio quel cuoio che altrimenti finirebbe in discarica. L’alto tasso di inclusione raggiunto supera gli standard attuali del settore, aprendo scenari inediti per la filiera.

NITRILE RICICLATO. Terzo fronte: suole in gomma che integrano residui di nitrile derivanti da processi produttivi esterni, come i guanti monouso. Un materiale che nessuno aveva pensato di valorizzare nel calzaturiero.

Vapesol non sta semplicemente riciclando: sta reingegnerizzando il concetto stesso di suola, dimostrando che sostenibilità e performance possono convivere.

Tra le novità anche una nuova stampante 3D a resina che consente di realizzare prototipi di suole flessibili e ‘indossabili’: un nuovo modo di pensare le calzature anche in fase di prototipia.

E, ancora, un nuovo macchinario (il secondo, per ora, presente in Europa) che consente lo stampaggio di suole bi-colore in EVA per prodotti dalle performance, in particolare la leggerezza, sempre all’avanguardia, ma con un’attenzione ulteriore allo stile e al design.


Carité guida la rivoluzione digitale della calzatura portoghese

Coordinare un consorzio non significa semplicemente presiedere riunioni: significa tracciare la rotta. Ed è esattamente ciò che sta facendo Carité – Calçados, azienda portoghese specializzata nella produzione in private label per grandi marchi internazionali, assumendo la leadership dell’Agenda FAIST.

Il programma si articola lungo tre direttrici fondamentali. La prima riguarda l’automazione intelligente: Carité sta sviluppando una linea di produzione integrata e flessibile, dotata di convogliatore sincronizzato con macchine a iniezione, pallet con tracciabilità RFID e tunnel termico per la stabilizzazione. A questa si affianca la High Frequency Fusion Cell, una tecnologia che fonde tessuti multistrato e film in TPU direttamente nelle tomaie, riducendo drasticamente le operazioni manuali.

Sul fronte della sostenibilità, l’azienda collabora allo sviluppo di rivestimenti bioplastici multifunzionali per solette e tomaie, capaci di offrire protezione UV, controllo dell’umidità e proprietà antifungine. Parallelamente, si lavora a imballaggi ecologici derivati da scarti conciari e a forme per calzature stampate in 3D, riciclabili e adattabili alle diverse fasi produttive.

Infine, la digitalizzazione: dal sistema Visualgest per la pianificazione basata su intelligenza artificiale, alla piattaforma cloud eCODICEC progettata per garantire la riservatezza dei dati in un mercato altamente competitivo, fino ai sistemi di visione artificiale montati sulle macchine per il taglio.

R-Skin di Bolflex: quando lo scarto diventa pelle

Bolflex, azienda portoghese specializzata in suole di gomma e partner del consorzio FAIST, ha sviluppato: R-Skin.

Il progetto nasce da una domanda semplice: è possibile trasformare scarti industriali di diversa provenienza in un materiale capace di sostituire la pelle? La risposta, a quanto pare, è sì. Ma attenzione: non parliamo dell’ennesima alternativa “green” destinata a restare confinata nei laboratori. R-Skin è un materiale in fogli, progettato per entrare direttamente nella filiera calzaturiera con requisiti industriali reali.

Il cuore dell’innovazione sta nella formulazione. Combinare rifiuti provenienti da applicazioni diverse significa affrontare una sfida tecnica non banale: ogni scarto porta con sé caratteristiche differenti, e l’obiettivo è massimizzare il loro utilizzo senza compromettere durabilità, flessibilità e resa estetica. Qui entra in gioco un lavoro intensivo di industrial design, finalizzato a ottimizzare ogni variabile del processo.

I test condotti valutano le prestazioni del materiale su parametri concreti: quanto resiste, come si piega, che aspetto ha. Perché nel mondo della calzatura – inutile girarci intorno – un materiale sostenibile che non regge la prova del mercato resta un esercizio accademico.

La Fusion Cell di AMF-Toworkfor

AMF-Toworkfor, leader mondiale nelle calzature di sicurezza, sta trasformando l’acronimo FAIST in realtà tangibile. Processi innovativi di iniezione su tomaia e fusione di parti in alta frequenza. Ridurre i passaggi produttivi e migliorare la tenuta dei prodotti.

Si parte con l’iniezione Fusion Cell: un sistema a doppia stazione con iniettore in poliuretano a doppia densità che permette lo stampaggio simultaneo delle suole e l’incollaggio delle tomaie. Tradotto: dove prima servivano passaggi multipli, ora basta un unico step. La configurazione a stampo inverso, con rotazione degli stampi per iniettare diverse parti della calzatura, integra miscelazione ad alta precisione, monitoraggio in tempo reale e sensori IoT. Il risultato? Dosaggio uniforme, adesione migliore, tempi e costi drasticamente ridotti.

Ma l’innovazione non si ferma qui. La High Frequency Fusion Cell rappresenta un salto evolutivo nella produzione di tomaie: pressatura sequenziale che combina calore, stabilizzazione a freddo e stampaggio ad alta frequenza. Tessuti multistrato, film in TPU, rinforzi e decorazioni vengono fusi direttamente nelle tomaie, riducendo le operazioni manuali e garantendo resistenza a sollecitazioni termiche, chimiche e meccaniche.

Il terzo pilastro è la digitalizzazione. In collaborazione con Softideia, AMF ha sviluppato l’Assembly Line Production Management 4.0: tracciamento ordini in tempo reale, classificazione automatizzata, flussi di lavoro intelligenti. Un sistema che non teme i micro-ordini, anzi li elabora con la stessa efficienza delle grandi commesse.

Per un’azienda che rifornisce in private label le major internazionali del settore, questa tripla rivoluzione non rappresenta un semplice aggiornamento tecnologico. È la risposta concreta a un mercato che chiede qualità altissima, flessibilità totale e tempi compressi.

Reindustrializzare l’Europa: sogno o possibilità concreta?

Dal 30% al 3%: ecco il crollo della produzione calzaturiera europea negli ultimi trent’anni. Un numero che pesa come un macigno e che ha fatto da sfondo al confronto tra César Araújo (ANIVEC), João Maia (APICCAPS) e Kerstin Jorna (DG Grow).

«L’industria portoghese delle calzature è una storia di successo, che combina tradizione con tecnologia», ha dichiarato Jorna in un messaggio video. Ottimismo comprensibile, ma che si scontra con una realtà ben più aspra.

L’irruzione dei player asiatici ha stravolto gli equilibri globali. Eppure, come sottolinea Maia, l’Europa ha saputo trattenere «le fasi di valore aggiunto: il processo creativo, la gestione dei brand, la produzione di calzature più nobili». In altre parole, quel 3% residuo è fatto di eccellenza, di premium, di lusso. Portogallo, Spagna e Italia resistono grazie a competenze e saper fare.

Ma resistere non basta. Il nodo cruciale è la concorrenza sleale. «L’Europa permette ai Paesi terzi di utilizzare il mercato europeo senza che a loro siano applicate le stesse regole a cui devono sottostare le industrie del Vecchio Continente», denuncia Araújo. E rincara: «E siamo anche di fronte alla più grande frode fiscale del XXI secolo», con operatori extraeuropei che aggirano dazi e IVA.

La risposta normativa? Lenta. Maia conferma che la Commissione Europea interverrà, ma solo nel 2028. Troppo tardi per chi compete oggi.

E la reindustrializzazione? L’abbiamo raccontata spesso come il grande ritorno delle fabbriche vicino ai mercati di consumo. La realtà è più sfumata: le produzioni si spostano verso altri Paesi asiatici più competitivi. La vera sfida, secondo Maia, è «portare in Europa produzioni dove le nostre competenze possano generare imprese competitive».

Araújo chiude con una visione: «L’industria europea deve trasformarsi, puntando su prodotti a valore aggiunto e sull’economia circolare». A patto che le regole valgano per tutti.

Automazione e calzatura: quanto costerebbe non investire?

«Creare robot per le auto è un gioco da ragazzi rispetto a crearli per le calzature». Non è provocazione, ma la sintesi più efficace di una sfida che il settore calzaturiero europeo sta affrontando con urgenza crescente. Durante la conferenza “From Automation to Robotics” promossa da APICCAPS all’interno dell’evento “Welcome to the industry of the future”, il dibattito ha messo a nudo una verità scomoda: chi non investe in tecnologia rischia di non produrre più in Europa. A partecipare alla tavola rotonda Vítor Almeida – Tropimática, Albano Fernandes – AMF, Ricardo Costa – Rodiro, Ventura Correia – Carité.

 

ROBOT SU MISURA, NON SOLUZIONI PRECONFEZIONATE

La robotica utile nel mondo calzature è robotica avanzata: deve adattarsi continuamente a prodotti che presentano grande variabilità e a collezioni che cambiano almeno due volte l’anno. I robot devono essere adattati alla realtà della fabbrica, e servono tecnici interni capaci di riprogrammarli costantemente. Un pellame non è mai uguale a quello del giorno prima.

 

PERSONE, NON SOSTITUZIONI

Paradosso apparente: nonostante l’automazione, il bisogno di lavoratori cresce. La chiave sta nel bilanciamento. I robot devono essere un complemento, liberando le persone per le fasi a maggior valore aggiunto. Le aziende portoghesi che già hanno adottato un buon livello di automazione hanno riscontrato che con la robotizzazione si ha bisogno di più persone, più efficienti e meno logorate. Ma attenzione: serve investire in professionalità preparate alla sfida del cambio dei processi.

 

IL VERO COSTO? LA TRANSIZIONE

Il costo maggiore dell’automazione non è quello delle macchine, ma quello della riorganizzazione per farle funzionare. Trent’anni fa la tecnologia era costosa e complessa; oggi non più. Ma ogni fabbrica ha esigenze diverse, e l’inserimento di processi automatizzati richiede una pianificazione attenta. Bisogna essere preparati anche al fallimento, perché qualcosa andrà storto e bisognerà modificare il percorso.

 

UNA QUESTIONE DI SOPRAVVIVENZA

Un giovane qualificato non è più disponibile a pennellare colla otto ore al giorno. È questa la realtà. Se le fabbriche non diventano più tecnologiche per attrarre talenti giovani, non avranno successo. Il Portogallo, e l’Europa, potranno continuare ad avere successo quando riusciranno a conciliare automazione e saper fare. Nuove professioni devono nascere: programmazione, CAD, CAM. Chi pensa che un robot significhi automaticamente più qualità, più quantità e meno persone, si sbaglia.

Dove ci sono più piedi, ci saranno più scarpe: la geografia mutevole dell’industria calzaturiera globale

Certe rivoluzioni non fanno rumore: scorrono silenziose come una linea rossa su un grafico, e quando ce ne accorgiamo hanno già cambiato il mondo. È il caso dell’ingresso della Cina nella OMC nel 2001: un evento che, come ricorda Vasco Rodrigues, professore dell’Università Cattolica, “ha determinato un cambiamento significativo nel commercio calzaturiero a livello mondiale”. Da quel momento, le esportazioni cinesi sono più che raddoppiate nei primi cinque anni, arrivando a ridisegnare catene di fornitura e strategie dei grandi produttori internazionali.

L’effetto domino è stato rapido: con la certezza di poter esportare facilmente dalla Cina verso qualsiasi mercato, le aziende hanno trasferito la produzione in Asia. Oggi, il continente asiatico produce il 90% dei 24 miliardi di paia di scarpe realizzati ogni anno. Ogni grande paese produttore — Cina, India, Vietnam, Indonesia, Pakistan — fabbrica da solo più di quanto faccia l’intera Europa, che pesa appena il 2,3% della produzione globale .

Anche i consumi raccontano una geografia sbilanciata: l’Asia è di nuovo in testa, mentre la popolazione europea acquista quattro paia l’anno, il Nord America cinque, l’Africa solo uno. Ed è proprio il continente africano, ancora quasi inesplorato commercialmente, a rappresentare la frontiera più dinamica: la sua popolazione crescerà del 60% entro il 2050, mentre l’Europa sarà l’unica area in declino demografico.

Accanto ai fattori strutturali, Rodrigues ha evidenziato tre forze che stanno modificando la domanda: il comfort, la sensibilità ambientale e il grado di fiducia del consumatore verso il prodotto. La tecnologia, inoltre, si impone come leva decisiva per ridisegnare processi, servizi e modelli di business.

Lo scenario economico, però, non è privo di turbolenze: frammentazione dei blocchi geopolitici, near-shoring, crescita diseguale tra regioni, rischio di crisi in Cina, e forte volatilità nelle previsioni geopolitiche. In Europa si attende una crescita lenta, mentre restano incerti i futuri orientamenti degli Stati Uniti.

Dove ci sono più piedi, ci saranno più scarpe. Ma la vera sfida sarà capire quali scarpe, dove produrle e come venderle. L’industria delle calzature entra in una fase in cui nulla è garantito e tutto è possibile.

Portogallo: quando l’industria calzaturiera diventa fabbrica del futuro. Il progetto FAIST

C’è un paradosso che attraversa il mondo della calzatura globale, e i portoghesi lo hanno capito meglio di chiunque altro: in un’epoca in cui si producono quasi 24 miliardi di paia di scarpe ogni anno, di cui l’88% concentrate in Asia, il futuro potrebbe essere scritto da chi produce meno, ma produce meglio. È questa la scommessa che il Portogallo sta lanciando sul tavolo dell’industria mondiale, armato di tecnologia, tradizione e una visione strategica che pochi altri paesi europei possono vantare.

«Non riteniamo che questa situazione sia sostenibile; al contrario, crediamo che ci sia spazio nel mercato per player come il Portogallo» – ha dichiarato Luís Onofre, presidente di APICCAPS, l’associazione dei produttori portoghesi di calzature, componenti e pelletteria. Una frase che suona come un manifesto programmatico, non come una semplice dichiarazione d’intenti.


I numeri parlano chiaro: nel 2024 il cluster calzaturiero portoghese ha raggiunto esportazioni per 2,1 miliardi di euro, con 68 milioni di paia vendute in 170 paesi diversi. L’export rappresenta il 90% della produzione nazionale, con Germania, Francia e Paesi Bassi come mercati di riferimento europei. Ma è negli Stati Uniti che il Portogallo ha registrato la performance più impressionante: una crescita del 109% nell’ultimo decennio, con oltre 90 milioni di euro di calzature esportate nel solo 2024.

Dietro questi risultati c’è una strategia industriale che unisce eccellenza artigianale e avanguardia tecnologica. E il cuore pulsante di questa trasformazione si chiama FAIST: Fábrica Ágil, Inteligente, Sustentável e Tecnológica.

 

LA RIVOLUZIONE FAIST: ANATOMIA DI UN PROGETTO DA 50 MILIONI

Quando si parla di innovazione industriale, troppo spesso ci si perde in slogan vuoti e promesse mai mantenute. Il progetto FAIST rappresenta invece qualcosa di diverso: un investimento concreto di 50 milioni di euro, parte del Piano di Ripresa e Resilienza portoghese (PRR), che coinvolge 45 co-promotori tra aziende calzaturiere, produttori di componenti, sviluppatori software e istituzioni del sistema scientifico e tecnologico.

Coordinato dal Centro Tecnologico del Calçado Portoghese (CTCP) e guidato da Carité come capofila del consorzio, FAIST si propone obiettivi ambiziosi ma misurabili. «L’obiettivo è che l’industria calzaturiera portoghese rimanga all’avanguardia e si consolidi come la più moderna al mondo» – afferma con convinzione Luís Onofre. Non è retorica: è la traduzione di numeri in visione.

Il progetto nasce per rispondere a esigenze concrete del settore: preparare l’industria alle sfide future investendo in tecnologie digitali, sostenibilità dei processi e dei prodotti, con l’obiettivo di ottenere maggiore efficienza e redditività, risposta rapida al mercato, migliori condizioni di lavoro e differenziazione del prodotto.

Florbela Silva, coordinatrice del progetto FAIST e direttrice dell’Unità Innovazione e Manifattura Digitale del CTCP, sottolinea che il 75% del progetto è già stato completato. «Il mercato evolve e dobbiamo restare al passo con questo cambiamento, sia nel modo in cui produciamo sia nei prodotti che offriamo» – spiega Silva. Un’affermazione che racchiude l’essenza di un settore che non si accontenta di sopravvivere, ma vuole guidare il cambiamento.

La filosofia alla base di FAIST è: se le aziende portoghesi sono già riconosciute per la capacità di innovare e produrre piccoli ordini in modo efficiente, ora è il momento di ottimizzare i processi e migliorare l’efficienza per garantire ulteriori guadagni di competitività. In particolare, il settore acquisirà le competenze per produrre su scala più ampia, innovando nell’intera catena produttiva, dalla fabbricazione dei componenti alla creazione di unità di assemblaggio modulari.

 

I RISULTATI IN CIFRE: DAL LABORATORIO ALLA FABBRICA

Un progetto di questa portata si misura sui risultati concreti. E FAIST può già vantare numeri impressionanti.

Sul fronte delle soluzioni tecnologiche, il consorzio si è impegnato a sviluppare oltre 30 macchinari e attrezzature innovative, più di 20 soluzioni software, 5 linee di produzione integrate e oltre 15 prodotti innovativi tra calzature e componenti. A questi si aggiungono 3 unità pilota per la sperimentazione e la dimostrazione delle nuove tecnologie, che serviranno come siti di test e formazione per le risorse umane del settore.

Ma FAIST non è solo tecnologia: è anche capitale umano. Secondo Florbela Silva, il progetto genererà 300 nuovi posti di lavoro, di cui 100 altamente qualificati. Un dato che ribalta il luogo comune dell’automazione come distruttrice di occupazione, mostrando invece come l’innovazione possa creare lavoro di qualità.

Il progetto punta anche sulla condivisione della conoscenza: sono previsti oltre 130 azioni di comunicazione, più di 10 webinar, 30 podcast, 10 video e oltre 80 azioni di formazione. Un ecosistema di apprendimento che coinvolge università, politecnici, centri tecnologici e aziende, creando quella sinergia tra ricerca e produzione che è il vero motore dell’innovazione.

Sul fronte della sostenibilità, gli obiettivi sono altrettanto ambiziosi: una riduzione del 50% delle emissioni di gas serra e un incremento del 100% nell’utilizzo di energie rinnovabili.

Kyaia factory

 

DALL’AUTOMAZIONE ALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE: LE INNOVAZIONI CHE CAMBIANO IL SETTORE

Se i numeri raccontano la dimensione del progetto, sono le singole innovazioni a rivelare la sua portata rivoluzionaria. FAIST ha dato vita a un ecosistema di soluzioni che coprono l’intera catena del valore calzaturiero, dalla progettazione alla logistica, dalla produzione alla formazione. Di seguito solo alcuni esempi.

 

Piattaforme digitali per la gestione integrata

Una delle innovazioni più significative è eCODICEC, un ecosistema digitale della business community calzaturiera. Si tratta di una piattaforma cloud privata specificamente progettata per il settore, che punta a sistematizzare e integrare documenti, processi e comunicazioni all’interno delle organizzazioni. L’obiettivo è creare una cultura della collaborazione digitale basata su tre pilastri: comunicazione interna fluida, processi digitali agili e cybersecurity.

Accanto a eCODICEC, il sistema SADIC (Sistema di Valutazione delle Performance dell’Industria Calzaturiera) rappresenta un altro tassello fondamentale. Integrando la valutazione delle performance all’interno della gestione dei processi, garantisce coerenza, trasparenza ed efficienza amministrativa, trasformando quella che era una procedura HR basata su moduli cartacei in un vero strumento di gestione strategica.

 

Gestione intelligente della produzione

Il modulo di pianificazione di Visualgest rappresenta lo stato dell’arte nella gestione della produzione strategica e anticipatoria. Sfruttando dati in tempo reale e intelligenza artificiale, alloca efficientemente le risorse in fabbrica, prevede le necessità e regola dinamicamente i processi. Il sistema centralizza le informazioni e integra i flussi di lavoro, semplificando decisioni complesse in azioni concrete e garantendo un flusso produttivo ininterrotto.

Per la gestione del magazzino, il WMS (Warehouse Management System) sviluppato da JPM offre una piattaforma modulare web-based per operazioni automatizzate. Costruito con un’architettura moderna, supporta il tracciamento a livello di progetto e articolo, l’allocazione intelligente dello stock, l’etichettatura con QR e DataMatrix, e perfino la visualizzazione 3D del magazzino. Il sistema gestisce sia i materiali “visibili” che quelli “invisibili”, migliorando l’utilizzo dello stock e riducendo acquisti non necessari.

 

Formazione personalizzata con intelligenza artificiale

TUTORIC rappresenta una rivoluzione nel campo della formazione professionale. Si tratta di una piattaforma e-learning che utilizza contenuti digitali avanzati (video, simulazioni, animazioni e quiz interattivi) per colmare le lacune di competenze dei dipendenti delle aziende calzaturiere. La piattaforma sfrutta l’intelligenza artificiale per definire percorsi formativi personalizzati per ogni dipendente, permettendo di formare molti lavoratori simultaneamente senza necessità di spazi fisici, rispettando i turni di fabbrica e garantendo uniformità nei contenuti formativi.

 

Product Lifecycle Management evoluto

La soluzione PLM (Product Life Management) di Mind rappresenta l’evoluzione dei sistemi PDM, progettata per centralizzare i dati del ciclo di vita del prodotto attraverso design, produzione e supply chain. Introduce workflow modulari per approvazioni, versioning dei documenti, gestione delle modifiche e scambio sicuro di dati tra sistemi. Costruita con un backend scalabile, la piattaforma supporta sia applicazioni legacy che nuove, con minime interruzioni operative.

 

UN MODELLO PER L’EUROPA: TRA REINDUSTRIALIZZAZIONE E SOSTENIBILITÀ

«Il settore calzaturiero si è sempre posto l’obiettivo di diventare un riferimento internazionale di primo piano» – ricorda Luís Onofre. «Ora è il momento di prepararsi per un nuovo decennio di crescita, rafforzando le competenze, accelerando l’integrazione di nuovi lavoratori qualificati nelle aziende e aumentando gli investimenti in R&D per presentare prodotti altamente differenziati».

Il Piano Strategico del Cluster Calzaturiero Portoghese 2030 fissa obiettivi ambiziosi: diventare il riferimento internazionale per l’industria calzaturiera, rafforzare le esportazioni portoghesi combinando virtuosamente sofisticatezza e creatività con efficienza produttiva, basata sullo sviluppo tecnologico e sulla gestione della catena del valore internazionale, garantendo così il futuro di una base produttiva nazionale sostenibile e altamente competitiva.

Per raggiungere questi obiettivi, il settore prevede di investire 600 milioni di euro entro il 2030. Oltre ai 50 milioni di FAIST, sono già in corso altri importanti investimenti: 60 milioni di euro nel progetto BioShoes4All, focalizzato sullo sviluppo di materiali, prodotti e processi più sostenibili, e 80 milioni nella bioeconomia.


 

UNO SGUARDO AL FUTURO

Siamo partiti dalla domanda che attraversa tutta la riflessione sull’industria calzaturiera globale: è ragionevole che quasi il 90% della produzione mondiale sia concentrata in Asia? È sostenibile questo modello?

Il Portogallo ha scelto di rispondere con i fatti, non con le parole. Ha scelto di differenziarsi in una delle industrie più competitive al mondo, non attraverso la geografia o le materie prime, ma attraverso conoscenza, tradizione, artigianalità e qualità.

«Abbiamo creato in Portogallo un intero ecosistema che favorisce l’innovazione produttiva e rafforza il legame tra università e aziende» – afferma Florbela Silva. Per la coordinatrice del progetto FAIST, l’industria calzaturiera portoghese è già una delle più avanzate al mondo, ma l’ambizione rimane invariata: continuare a crescere, a innovare, a stabilire nuovi standard.

Il resto dell’Europa osserva con attenzione. In un’epoca di tensioni geopolitiche, frammentazione delle catene di approvvigionamento e crescente attenzione alla sostenibilità, il modello portoghese potrebbe rappresentare la risposta che l’industria manifatturiera europea stava cercando.

 

IN VISITA ALLE FABBRICHE DEL FUTURO

Il progetto FAIST non è solo teoria: si tocca con mano visitando le aziende che stanno implementando le nuove tecnologie. Durante l’evento “Welcome to the Industry of the Future”, tenutosi al Palácio da Bolsa di Porto il 18 e 19 novembre 2025, i giornalisti internazionali hanno avuto l’opportunità di assistere alle conferenze, ma anche di visitare alcune delle realtà più innovative del distretto produttivo portoghese. Visite che hanno permesso di osservare dal vivo le linee di produzione automatizzate, i sistemi di tracciamento RFID, le postazioni di lavoro innovative e le soluzioni software sviluppate nell’ambito di FAIST.

 

AMF Safety Shoes – Fondata nel 1999, l’azienda ha iniziato fornendo servizi in outsourcing alle fabbriche locali, per poi diventare un produttore leader mondiale di calzature di sicurezza. Attraverso il marchio TOWORKFOR e progetti private label per importanti brand europei, AMF rappresenta oggi un esempio di come tradizione e innovazione possano convivere.

 

Bolflex – Dal 1991 l’azienda si dedica alla costruzione di partnership durature, specializzandosi nella produzione e lavorazione di componenti per calzature, principalmente suole in gomma.

 

Carité – Capofila del progetto FAIST, punta su prodotti di alta qualità e un approccio commerciale aggressivo sui mercati internazionali. Dal 1995 esporta virtualmente tutta la sua produzione a una clientela composta dai principali brand internazionali, che acquistano le calzature con il proprio marchio.

 

Kyaia – Fondata nel 1984 da Fortunato Frederico, guida un gruppo con oltre 600 dipendenti e un fatturato di 55 milioni di euro. Il suo modello di business si estende oltre la produzione calzaturiera, includendo distribuzione, retail, immobiliare e tecnologie dell’informazione.

 

Vapesol – Specializzata nella produzione di suole per l’industria calzaturiera, Vapesol nasce nel 1998 dalla passione per le suole e dalla volontà di innovare. Oggi è leader nel settore, con un’attenzione costante alla qualità dei prodotti e alla soddisfazione dei clienti.

  

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APICCAPS COMPIE 50 ANNI – MEZZO SECOLO DI STORIA E INNOVAZIONE

Il 2025 segna un traguardo storico per APICCAPS, l’Associazione Portoghese dei Produttori di Calzature, Componenti e Pelletteria: cinquant’anni dalla fondazione, avvenuta a Porto nel 1975.

Nata in un periodo di trasformazioni profonde per il Portogallo – a pochi mesi dalla Rivoluzione dei Garofani del 1974 – APICCAPS ha accompagnato l’industria calzaturiera portoghese in un percorso straordinario: dalla produzione labour-intensive degli anni Settanta al posizionamento premium degli anni Duemila, fino alla leadership tecnologica e sostenibile di oggi.

Oggi l’associazione rappresenta circa 500 aziende, responsabili dell’80% della produzione portoghese. I settori coperti includono l’industria calzaturiera, la componentistica, la pelletteria (borse, portafogli, guanti, cinture) e i macchinari per i settori menzionati.

Le aree di azione principali comprendono internazionalizzazione, studi e consulenza, supporto tecnico, formazione professionale, tecnologia e innovazione. La campagna promozionale “The Sexiest Industry in Europe” ha contribuito a riposizionare l’offerta portoghese a livello mondiale, mentre il World Footwear Yearbook è diventato un riferimento per l’analisi del settore a livello globale.

Sotto la presidenza di Luís Onofre, stilista di fama internazionale, APICCAPS ha guidato il più grande ciclo di investimenti nella storia del settore calzaturiero portoghese: 120 milioni di euro negli ultimi tre anni in automazione, robotica e sostenibilità.

«È il momento di riscrivere la storia» – è il motto della campagna internazionale lanciata dall’associazione. Dopo mezzo secolo, APICCAPS continua a guardare avanti, convinta che il futuro della calzatura si costruisca oggi, un passo alla volta.

Luís Onofre – Presidente APICCAPS

Gemata guarda al futuro con una nuova leadership

Dopo un percorso di transizione avviato oltre un anno e mezzo fa, l’Ing. Giulio Mandruzzato è stato nominato nuovo CEO di Gemata S.p.A., raccogliendo il testimone dall’Ing. Gianni Maitan, che per oltre ventitré anni ha guidato con visione e competenza la crescita dell’azienda, rendendola un punto di riferimento globale nel settore delle macchine per la rifinizione della pelle.

Giulio Mandruzzato

“Questa nomina – si legge in una nota dell’azienda – rappresenta un passaggio naturale di continuità e rinnovamento, parte di un più ampio processo di evoluzione della governance, volto a preparare Gemata alle sfide future e a consolidarne il ruolo di leader internazionale nel segno dei valori che da sempre la contraddistinguono: innovazione, qualità e tecnologia avanzata”.

Sotto la guida dell’Ing. Mandruzzato, Gemata intraprende un nuovo percorso di sviluppo e innovazione, fedele alla propria tradizione ma con una visione aperta al cambiamento e all’evoluzione dei mercati globali. L’Ing. Gianni Maitan continuerà a far parte del gruppo come Presidente del Consiglio di Amministrazione, offrendo la propria esperienza nello sviluppo di nuovi progetti tecnologici e di innovazione. “Un’evoluzione nel segno della continuità: insieme per scrivere un nuovo capitolo della nostra storia” concludono da Gemata.