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Nuovo appuntamento con il Venice Sustainable Fashion Forum

News brevi

Dicembre 2024

Nuovo appuntamento con il Venice Sustainable Fashion Forum

Giunto alla terza edizione, mira ad avviare un dibattito serio e costruttivo sul tema dello sviluppo sostenibile, per tracciare la strada verso una transizione equa ed efficace.

Si è svolto lo scorso 24 e 25 ottobre il Venice Sustainable Fashion Forum, l’iniziativa nata dalla collaborazione di tre partner chiave – Sistema Moda Italia, TEHA Group e Confindustria Veneto Est – che vede oggi la partecipazione e il sostegno di 19 partner che ne condividono valori e obiettivi, riconoscendo la necessità avviare un dibattito serio e urgente sul tema della sostenibilità nel settore moda.

Durante la terza edizione, in particolare, è stato presentato lo studio “Just Fashion Transition” che affronta i progressi, le sfide e le opportunità per la filiera moda insite nella trasformazione sostenibile, al fine di promuovere un dialogo collaborativo e sviluppare soluzioni concrete. L’edizione 2024 si è concentrata su due domande chiave che hanno guidato il processo di ricerca: Come sarà l’industria della moda nel 2030? E In che modo le filiere della moda stanno abbracciando il cambiamento? Stanno facendo abbastanza?

L’industria europea della moda in ritardo di otto anni

Secondo i risultati evidenziati da “Just Fashion Transition”, l’industria europea della moda potrebbe raggiungere i suoi obiettivi climatici con 8 anni di ritardo. Nonostante, infatti, negli ultimi 6 anni si sia riusciti a disaccoppiare la crescita economica dalle emissioni di CO2, sembra che ai ritmi attuali sarà in grado di raggiungere gli obiettivi climatici vincolanti previsti dal Fit for 55 solo entro il 2038. Per recuperare il ritardo rispetto al percorso di decarbonizzazione previsto saranno necessari investimenti addizionali pari a €24,7 miliardi entro il 2030. In alternativa, ridurre i volumi di produzione per rimanere entro i limiti di emissione previsti rischia di comportare perdite di ricavi 8 volte superiori e secondo un’analisi dei bilanci di oltre 2.686 società, gli investimenti richiesti sembrano difficilmente sostenibili per il 92% delle aziende italiane della filiera.

L’incertezza normativa frena la competitività

Poiché la sua influenza geopolitica nel mondo è in costante decrescita, a 10 anni dall’Accordo di Parigi, l’Europa continua a promuovere la transizione sostenibile principalmente attraverso leggi e norme. Tuttavia, la mancanza di linee guida di operative e di quadri normativi ben definiti rappresenta una fonte di incertezza per le imprese, almeno per i prossimi 5 anni, e quindi un freno alla competitività rispetto al resto del mondo. In particolare, mentre i requisiti e gli strumenti di sostenibilità sono sempre più concentrati sulle grandi aziende, le PMI non sembrano altrettanto prese in considerazione. Esse si ritrovano a dover sostenere l’onere della compliance senza risorse sufficienti – un limite che minaccia di ampliare le disuguaglianze e ostacolarne il potenziale competitivo in un mercato regolamentato.

Inoltre, nonostante la crescente attenzione dell’UE in materia di gestione del fine vita dei prodotti fashion, le infrastrutture disponibili non sembrano ancora adeguate. Mentre la Commissione Europea spinge verso il recupero dei rifiuti e la rendicontazione sui prodotti invenduti, in Europa la distruzione rappresenta ancora un comune metodo di smaltimento per i prodotti restituiti e invenduti, con 264.000-594.000 tonnellate di prodotti tessili che si stima vengano distrutte ogni anno (4-9% del mercato). Inoltre, mentre fino al 79% dello stock invenduto viene recuperato, solo il 57% dei resi online riesce a essere gestito nello stesso modo, con costi di trattamento pari al 55-75% del prezzo al dettaglio. Inoltre, la revisione della Direttiva Quadro sui Rifiuti del 2023 ha introdotto un nuovo schema di Responsabilità Estesa del Produttore (EPR), imponendo una tassazione per brand basata sull’ecodesign per promuovere durabilità e riciclabilità, con il supporto di Passaporti Digitali di Prodotto; mentre l’Italia ha già istituito sistemi di raccolta differenziata dei prodotti tessili, solo 3 città su 4 dispongono di strutture adeguate per gestirla, con un potenziale effettivo di raccolta pari a soli 2,7 kg pro capite rispetto ai 23 kg immessi sul mercato ogni anno.

Il ruolo debole del settore finanziario europeo

Il settore finanziario europeo non ha ancora tutte le leve per essere il motore della Just Fashion Transition nel continente. Senza un adeguato sostegno finanziario e un quadro normativo che faciliti l’accesso ai fondi sostenibili sui mercati dei capitali, la transizione rischia di essere sottofinanziata, esacerbando le disuguaglianze soprattutto tra le PMI, che oggi rappresentano quasi il 98% dell’intero settore.

Ad oggi, solo il 35% degli investimenti dedicati alla transizione delle PMI europee è stato sostenuto da finanziamenti esterni, e solo il 16% di questi si qualifica effettivamente come “sostenibile”.

In pochi sono al passo con la decarbonizzazione

Solo un terzo delle 100 più grandi aziende europee del settore moda è al passo con la velocità di decarbonizzazione necessaria, il resto rimane indietro. Da un lato, le 34 grandi aziende europee del settore che stanno riducendo le proprie emissioni a una velocità doppia rispetto a quella richiesta dalla Fit for 55 dimostrano che la decarbonizzazione è possibile. Dall’altro, questo evidenzia un ritardo significativo per il resto del settore. Inoltre, mentre sul clima si stanno facendo progressi, tra le 100 più grandi aziende EU solo 7 aziende sono trasparenti sul living wage e 28 non pubblicano ancora un Bilancio di sostenibilità. Infine, l’integrazione delle performance ESG nella retribuzione variabile dei dirigenti è una pratica diffusa solo nel 25% delle aziende, a differenza di altri settori in cui tale quota supera il 90%.

Scarsità di competenze e margini ridotti penalizzano le filiere italiane

La mancanza di competenze e margini ridotti rendono difficile per le filiere italiane affrontare rapidi cambiamenti. Il presidio sui temi ESG tra le aziende della filiera italiana è diminuito di circa il 3%, in particolare tra le PMI con ricavi <30 milioni €. In particolare, le aziende manifatturiere nei comparti del tessile e abbigliamento dimostrano il più alto presidio della sostenibilità nella filiera italiana, con valori crescenti all’aumentare delle dimensioni, mentre pelle, maglieria e calzaturiero sono più indietro, soprattutto tra le aziende più piccole. Le grandi, in particolare quelle con un fatturato superiore a €80 milioni, mostrano un presidio di sostenibilità più solido in tutti i segmenti analizzati.

I fattori principali di questo rallentamento sono la mancanza di competenze interne è il principale ostacolo del mancato presidio ESG, mentre la bassa redditività, in costante calo (tra il 7 e l’11%), così come gli alti indici di indebitamento, rendono gli investimenti nella decarbonizzazione difficilmente sostenibili per circa il 92% delle aziende, soprattutto nel settore conciario e dell’abbigliamento.

La responsabilità dei governi

Se il settore non investirà abbastanza, i consumatori europei potrebbero dover rinunciare a 21 capi di abbigliamento pro capite entro il 2030. Inoltre, anche se il second-hand può essere visto come un’alternativa sostenibile al fast fashion, i suoi benefici sono ridotti dall’effetto rebound: per ogni acquisto di capi nuovi evitato, se ne acquistano in media 1,23 usati. Secondo i consumatori globali, i governi sono i principali attori le cui azioni in tema ambientale risultano insufficienti. In Europa, in particolare tra i giovani, c’è una crescente consapevolezza che la sostenibilità comporta costi e sacrifici. Tuttavia, questo non sembra tradursi in un’azione adeguata.

Conclusioni

Né i mercati, né le istituzioni hanno ancora raggiunto il ritmo richiesto per una Just Transition. Si prevede che la crescita annuale delle economie OCSE calerà di quasi il 30% entro il 2060, arrivando all’1,3%, principalmente a causa del declino della popolazione in età lavorativa, con un impatto significativo anche sui Paesi emergenti del G2023. Allo stesso tempo, il 2023 è stato l’anno più caldo di sempre e gli scienziati avvertono che, senza un’azione immediata, la maggior parte dei rischi climatici potrebbe raggiungere livelli critici o catastrofici entro la fine del secolo, soprattutto nell’Europa meridionale. Le sole perdite economiche dovute alle inondazioni costiere potrebbero superare i €1.000 miliardi l’anno.Tuttavia, secondo le proiezioni, l’adozione di politiche a zero emissioni potrebbe comportare una crescita del PIL globale del 7% rispetto ai livelli previsti in caso di inazione.

In questo contesto, senza cambiamenti strutturali, non pare realistico che società e imprese possano prosperare. È quindi importante evidenziare, oggi, tre punti chiave:

•              i mercati e i sistemi di prezzi non incentivano la sostenibilità. Al contrario, viene spesso percepita come un investimento poco redditizio, motivato principalmente da ragioni etiche o di compliance;

•              la regolamentazione, da sola, non sarà sufficiente per accelerare la transizionesostenibile. Anzi, potrebbe spingere le aziende verso un approccio orientato più alla rendicontazione che al miglioramento delle performance.

•              i costi della transizione non possono essere valutati da soli. Piuttosto, i costi dell’azione dovrebbero essere misurati e confrontati nel lungo periodo con i costi dell’inazione, che nel caso del cambiamento climatico possono essere difficili da gestire.

5 proposte per una Just Fashion Transition europea al 2030

–  Per le Istituzioni è necessario chiudere in fretta il gap regolatorio al fine di permettere alle aziende di prendere decisioni a medio-lungo termine.

Semplificare gli strumenti finanziari per le PMI per permettere alle PMI di investire in sostenibilità fornendo loro un accesso facilitato al credito e offrendo delle condivisioni favorevoli.

– Costruire e diffondere a livello nazionale competenze, coinvolgendo università e ricerca per testare soluzioni scalabili, sviluppando iniziative per diffondere tra le PMI le competenze necessarie per la transizione e creare una forza lavoro a prova di futuro.

– Sviluppare un piano strategico nazionale per identificare modalità per integrare i costi della sostenibilità nelle strutture di prezzo,  facilitando l’eradicazione del caporalato, così come la condivisione di tempi, metodi e strumenti per combinare finanziamenti pubblici e privati.

– Alimentare il processo di concentrazione del mercato, specialmente tra le PMI, per aumentare la produttività e la capacità di investimento, anche attraverso agevolazioni fiscali e nell’accesso al credito, ma anche con finanziamenti pubblici.  


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